Lucia Baldini

Racconta per immagini dagli anni Ottanta, avendo come principale scenario l’ambito musicale. Inizia a collaborare con festival e compagnie di teatro e danza, in particolare per oltre 12 anni con Carla Fracci costruendo un progetto fotografico che si concretizzerà in un libro e in una mostra itinerante. Da compagnie e musicisti argentini si lascia coinvolgere nella cultura del tango che la porta a realizzare, nell’arco di 15 anni, 4 libri fotografici. Dall’incontro con Carlo Mazzacurati si è lasciata appassionare dal mondo del cinema divenendo fotografa di scena di vari film. Ha pubblicato libri fotografici dedicati alla danza, alla musica, al teatro e a Buenos Aires, ricevendo premi e riconoscimenti. Ispirandosi al dialogo tra le opere dei musei fiorentini e il pubblico in visita ha costruito per la Sovrintendenza ai Beni Artistici e Storici di Firenze, due progetti editoriali ed espositivi. Si occupa del sociale creando con l’attrice Anna Dimaggio il progetto Scarpe senza Donne e i Custodi in Cammino, che attraverso azioni performative e drammaturgiche affronta la tematica della violenza sulle donne. Ha esposto suoi lavori in Italia e all’estero e alcune sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private. Conduce seminari e laboratori sulla fotografia di scena e da sempre porta avanti un progetto di ricerca legato all’onirico.


Contatti:

www.luciabaldini.it


Cuba

Le tredici righe di Matteo Codignola Cos’ha visto Lucia?

Da Cuba è scomparso il colore. Non è chiaro quando questo fenomeno preoccupante sia avvenuto, o come, o perché. Ma è avvenuto, come le foto di Lucia documentano con estrema chiarezza. E non è tutto. Insieme al colore sembrano quasi scomparse anche le persone, e persino i rari macchinoni americani che ancora percorrono le strade deserte devono essere, si sospetta guardando questo imprevedibile réportage, gli ultimi. Cosa rimane, a questo punto, della Cuba che credevamo di conoscere? Nulla, o quasi. Ma allora cos’ha visto Lucia, e che cosa ci ha voluto raccontare? Non il presente, certo. Il suo cortometraggio muto su locali vuoti, empori senza più merce, case abbandonate sembra infatti ambientato in un futuro enigmatico, dove l’incubo che chiamavamo socialismo reale si sta trasformando in un sogno irreale, e tuttora in attesa di interpretazione. Un sogno che il Lìder, ormai da molto tempo imprigionato, per paradosso, in un’improponibile tuta azzurro elettrico, di sicuro disapprova. E dove noi, grazie a Lucia, entriamo per la prima volta – incerti, e spesso irretiti.